Pasqua gentile viene in aprile, viene con un soffio di primavera, canta allegra tutta la terra….
E’ Pasqua! E’ Pasqua! Come suonano giulive le campane, cantano le vicine, rispondono le lontane….
Così recitavano i miei bambini, Paola e Gianluca rispettivamente di quattro e tre anni. Li rivedo in piedi sulla sedia mentre interpretano con foga la loro prima poesia storpiando simpaticamente le parole. Erano piccolini e facevano tanta tenerezza.
Chissà se anche loro serbano un bel ricordo delle feste pasquali…
Per me avevano un sapore speciale, le attendevo con trepidazione, c’era nell’aria qualcosa di nuovo, di aspettativa, di rinascita. Andavamo incontro alla primavera, il mondo si abbelliva: le tinte, i profumi, i suoni, facevano parte di quel clima gioioso. I nostri cuori palpitavano pensando alla settimana santa stracolma di avvenimenti importanti.
Il giovedì era caratterizzato dalla benedizione delle case. C’era tutta una preparazione speciale dietro quell’evento. La casa doveva essere linda. Il giorno prima iniziavano le pulizie generali, ricordo papà smontava persino i letti, e giù acqua a catinelle per lavare a fondo il vecchio pavimento di cotto.
La mamma lucidava con il latte le piante di foglie ornamentali e li sistemava in bella vista nell’ingresso, disponeva sul mobilio i suppellettili di rame ben lustrati. Sui letti metteva le coperte, quelle di “lusso”, colorate e cangianti. L’abitazione appariva cambiata, assumeva un tono particolare e diventava scintillante. Con un tocco delicato le mani fatate di mia madre l’avevano trasformata in una reggia.
Il venerdì santo c’era il digiuno, dovevamo rispettare rigorosamente la morte di Gesù. Alle quindici in punto rintoccavano le campane a morto, emozionati ci inginocchiavamo facendoci il segno della croce.
Il sabato alle dieci invece le campane suonavano sciolte, ricordo baciavamo per terra come un atto di ringraziamento. Erano riti che sentivamo con convinzione, ci toccavano nell’intimo, ci infondevano un senso di pace e amore.
La domenica di Pasqua era una vera solennità: le campane di tutte le chiese suonavano a distesa all’unisono, un’atmosfera elettrizzante che accendeva gli animi.
Non solo c’era il rinnovamento dello spirito, ma anche del guardaroba. Quel giorno sfoderavamo sempre un vestitino nuovo.
Il pranzo era sempre lo stesso di ogni anno. I tortellini cotti nel brodo di carne dove era stata immersa la “palla.” La palla era un ”valore aggiunto” al consommé, si trattava di un polpettone messo a cuocere quasi a fine cottura, conferiva al brodo un sapore speciale. Era servito a fette, assieme al bollito.
In quell’occasione oltre al pollo e al coniglio, comparivano sulla tavola anche le costolette d’agnello, tutto impanato e fritto, una vera squisitezza!
Come dolce, la torta di riso al cioccolato, accompagnata dai liquori “strega” e “sherry”, fatti artigianalmente in casa dalla mamma. Erano molto buoni quegli elisir, i nostri genitori ce li facevano assaggiare con parsimonia.
La festività terminava sempre in bellezza. Il pomeriggio sul tardi, andavamo a fare una passeggiata su e giù per la via di Mezzo, tutti vestiti eleganti sfoggiavamo con allegria gli abiti nuovi.