I BALLOCCIORI   2 comments

ballocciori-ballottePer me i ballocciori significavano festa, stare insieme, raccontarci, veglia; infatti le storie, gli aneddoti, i pettegolezzi, si riferivano a tavola, di solito dopo cena. Una volta si usava dire: queste cose sono da raccontare a veglia, oppure quando accadeva un fatto di cronaca, o una novità, si diceva: questa notizia l’ho sentita a veglia dal tal dei tali. All’epoca non c’erano i mezzi di comunicazione come oggigiorno, quello era il metodo di informazione, era una specie di passaparola, un tam-tam.

La veglia era il momento più bello della giornata, stavamo tutti insieme, uniti, i miei genitori erano particolarmente allegri e la loro allegria si rifletteva su noi bambini, ci avvolgeva come un manto protettivo.

I ballocciori facevano parte di tutto questo, mi bastava sentirne il profumo per capire che la serata sarebbe stata particolarmente festosa: si trattava di castagne lessate con  il finocchio selvatico, praticamente fungevano da cena.

Per me i ballocciori erano più che una tavola imbandita, mi davano una sensazione d’allegria, forse per la modalità di come li mangiavamo.

La mamma metteva le castagne fumanti in un grosso piatto di alluminio, lo collocava in mezzo al tavolo, ognuno le prendeva ancora calde e le tagliava a metà. Noi bambini le succhiavamo, non avevamo la pazienza di sbucciarle. A me dava tanto gusto mangiarle in quel modo, erano dolcissime, farinose!

Come mai i cibi di allora erano  tanto buoni? Eppure in quel caso si trattava  solo di castagne bollite. Sicuramente era l’atmosfera gioiosa che regnava, a far sì che anche le pietanze più semplici potessero sembrare dei piatti prelibati.

Alla mamma non piaceva la cucina, si lamentava che era buia, infatti la finestra dava sulla corte interna e il sole non ci batteva direttamente.

Però da quella finestra, volgendo lo sguardo verso l’alto, potevo vedere il piccolo campanile della chiesa dell’Angelo; che allegria quando suonavano le sue campane! Osservavo rapita i batacchi che con il loro rintocchi producevano quel concertino.

Il campanaro si chiamava Giuseppe, era una persona anziana e molto gentile.  Durante le processioni con indosso la tunica bianca portava il lanternone.

Spesso si sedeva sui gradini di marmo bianco della chiesa, a parlare con noi bambini. Qualche volta ci permetteva di andare a vederlo mentre suonava le campane.

Lo ricordo molto concentrato tirare le corde su e giù con vigore, ho un flash di lui appeso alle funi. Allora era un’arte e un privilegio fare il campanaro, chissà se ne esistono ancora…

Anni orsono andai a Camaiore con la mia nipotina, desideravo mostrarle dov’ero nata. Naturalmente la vecchia casa non esisteva più, era stata rifatta di sana pianta, però chiesi agli attuali proprietari di farmi vedere la corte.

Che sensazione quando la rividi: la scenario era la stesso, tutto era rimasto immutato, come se il tempo non fosse passato. Mi sentii proiettata in quella corte, ero lì, bambina, con il naso all’insù a guardare il vecchio campanile e su quell’onda emotiva ebbi la percezione di risentire lo scampanio festoso di tanti anni fa. Fu solo questione di attimi che mi sembrarono un’eternità, un’emozione intensa, struggente, quasi irreale, difficile da spiegare.

Tornando alla cucina me la rammento accogliente anche se scura.

Era la tipica cucina di una volta, con un grosso camino dalla cui canna fumaria io potevo ammirare le stelle; sbirciando dal basso nelle sere limpide (presumo d’estate) vedevo il cielo stellato e mi sembrava così vicino da poterlo toccare. Se chiudo gli occhi rivedo chiaramente quello scorcio trapuntato di stelle.

M’ è rimasta impressa la mensola di legno della  cappa del camino.

La mamma l’aveva adornata mettendo intorno ad essa una gala di cotone bianco, tipo una piccola mantovana, sulla quale aveva ricamato a punto erba, delle ciliegie.

Erano molto belli quei ricami, spiccavano, davano colore alla cucina. Accanto al camino, i fornelli in muratura alimentati a carbonella.

L’arredo era essenziale e disposto in questo modo: al lato c’era la credenza di colore celeste e vicino la moschiera.

(La moschiera: adesso non si usa più, ma all’epoca penso che tutte le famiglie ne possedessero una. Era utile per riporre i cibi più delicati: come il pane, il formaggio, la marmellata, la conserva di pomodoro. La marmellata e la conserva si vendevano sciolte, per cui non essendoci il frigorifero, avevano bisogno di  essere e protette dalle mosche e da eventuali topi).

All’altro lato c’era l’arcile (madia) dove si impastava il pane e si custodiva la farina. Era bello quell’arcile, era appartenuto alla bisnonna Damaride. Chissà che fine avrà fatto, adesso sarebbe un pezzo d’antiquariato!

In mezzo alla stanza era posto il tavolo a forma rettangolare con sopra una lastra di marmo di colore grigio scuro con venature bianche.

In seguito i miei genitori si modernizzarono, comperarono la cucina a gas, la stufa economica a legna e trasferirono la cucina nella stanza dove prima c’era il salotto, la cui finestra dava sulla strada ed era illuminata dal sole.

La mamma era felicissima, finalmente aveva lasciato la catacomba, (così definiva la vecchia cucina) senz’altro la stanza era più bella e ariosa, però, a me rimase nel cuore la “catacomba”, io la vedevo luminosa, forse perché era irradiata da quella luce che si chiama amore.

Ricordo con affetto e nostalgia la vecchia cucina della mia casa natia, che si trovava all’indirizzo: via XX Settembre n. 136 Camaiore (Lucca).

 

Pubblicato 8 novembre 2016 da Anna Maria Berni in Uncategorized

2 risposte a “I BALLOCCIORI

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  1. Cara Anna Maria, è stato bello leggerti. Le tue parole mi hanno rilassata e rasserenata. Non ho trovato finora il tempo di scriverti, perché sono stata presa da varie cose e impegnata. Ti invio un caro, affettuoso saluto. Loreta

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